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   Tra i canoni della pittoricità e della fotografia, diciamo la verità, non c'è mai stato un dialogo distensivo, poiché linguaggi simili, e spesso identici, hanno facili conflittualità. Ricordano i gemelli Atreo e Tieste, Eteocle e Polinice, etc.. Conoscere i temi della fotografia risulta indispensabile al fine di transitare consapevolmente la linea di confine tra i due. Ma ciò non sarà sufficiente ad esaurire il dilemma: se i canoni della pittoricità sono applicabili alla fotografia, utilizzarli dovrà essere proibito? Dovranno essere allontanati, nonostante tutto, a vantaggio dei temi univoci della fotografia? Dunque: se non saremo navigati fotoreporter, dovremo reprimere il nostro istinto espressivo? Il sottoscritto invece ritiene non vi sia un limite all'arte, se di arte si tratta. 

   Nella fattispecie il desiderio di smascherare, in chiave surreale, la verità di Roma, andando ad inseguirla di notte per le strade e scovandone la vitalità apparentemente perduta, in oggetti 'apparentemente' inanimati, contrapposti al grigio morire del giorno e fatto di un 'tanto' che è niente, si è manifestato implacabile. Solo la fotografia può riportare il 'vero', sebbene si tratti di un vero inventato, magico, suggestivo.  E il vero che qui si voleva mostrare è la morte dell'anima collettiva, attraverso il paradosso di oggetti che provano emozioni, come invito simbolico a non demordere, a resuscitare.

   Roma Sopravvissuta, pertanto, non vuole essere la pretesa di una esposizione di ALTA fotografia, bensì la semplice, modesta ed intima volontà di restituire dolcezza ad una capitale sempre più claudicante, sgarbata, 'piccola', nevrastenica e poco inclusiva, suggerendole di tornare in vita attraverso la 'magia', e l'abbandono della mentalità 'vincente' o 'imperialista', che è ontologicamente perdente.

Paolo Romano

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